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Al centro del decreto del Ministero dell’Ambiente 13 ottobre 2016, n. 264 i criteri per capire se un residuo di produzione, anziché acquisire lo “status” di rifiuto, possa essere riutilizzato in un altro ciclo produttivo.
A fianco della complessa legislazione sui rifiuti, esistono tipologie di materiali che, in base alle proprie caratteristiche, possono essere assoggettati ad altre discipline. In alcuni casi, si tratta di residui di processi produttivi che, a seguito di trattamenti particolari, perdono il proprio “status” di rifiuti, potendo così essere riutilizzati per scopi diversi (da nuovi cicli produttivi alla generazione di energia). Sono, per lo più, le “cosiddette materie prime secondarie”, termine ormai soppiantato dalla nuova disciplina di matrice comunitaria dell’end of waste che si innesta nel più ampio scenario della circular economy. In altri casi, invece, ci sono scarti di produzione che possono essere automaticamente esonerati dal novero delle disposizioni in materia di rifiuti perché la loro composizione ne consente il riutilizzo: sono i cosiddetti “sottoprodotti”. La distinzione tra ciò che costituisce un rifiuto e ciò che, invece, non lo è, da anni caratterizza la scena sia legislativa sia giurisprudenziale per motivi non solo di carattere ambientale, ma anche economico, in quanto poter recuperare materiali consente alle imprese un notevole risparmio anche per un minore ricorso alle materie prime nei processi produttivi.
Non a caso, il recentissimo decreto del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare 13 ottobre 2016, n. 264, relativo ai criteri indicativi dei requisiti per qualificare i residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti, nelle premesse parla espressamente dell’importanza del «dissociazione della crescita economica dalla produzione di rifiuti» come driver per l'innovazione tecnologica finalizzata al riutilizzo di residui di produzione nel medesimo o in un successivo ciclo produttivo, il calo della produzione di rifiuti e la riduzione del consumo di materie prime vergini.
Il perno del nuovo provvedimento sono le condizioni generali che devono essere soddisfatte affinché un “residuo di produzione” (che, secondo la definizione dello stesso decreto, fino a prova contraria può essere anche un rifiuto) sia classificato come sottoprodotto. Parti attive in questo processo sono sia il produttore sia l’utilizzatore che sono tenuti a dimostrare una serie di condizioni comprovanti sia il fatto che i residui non sono stati prodotti volontariamente e non costituiscono l’obiettivo primario del ciclo produttivo sia il corretto utilizzo. Innanzitutto, la sostanza o l'oggetto deve essere stato originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante; inoltre, deve esserci la certezza dell'utilizzo nel corso dello stesso (o di un successivo) processo produttivo o di utilizzazione in maniera diretta, ovvero senza alcun trattamento “riqualificativo”. Per garantire il rispetto di queste condizioni entrambi i soggetti coinvolti devono mettere a punto un apposito sistema di gestione, che contempli anche le fasi di deposito e trasporto (che devono essere svolte in modo da non creare né contaminazioni con eventuali rifiuti presenti né, tantomeno, rischi per l’ambiente e la salute umana), nonché iscriversi in un apposito elenco pubblico istituito presso le camere di commercio territorialmente competenti, dichiarando la tipologia dei sottoprodotti oggetto di attività, al fine di favorire la creazione di un mercato dei materiali recuperati secondo criteri di trasparenza. In assenza di una documentazione comprovante l’idoneità del sottoprodotto a essere riutilizzato in un nuovo ciclo produttivo, è prevista la possibilità di predisporre una scheda tecnica contenente le informazioni sulle caratteristiche, da vidimare presso la camera di commercio di competenza territoriale. In presenza di tale scheda gli operatori potranno beneficiare di alcune semplificazioni come la possibilità di accumulare sottoprodotti con le stesse caratteristiche, ma provenienti da attività e/o impianti diversi o come la limitazione delle responsabilità, per il produttore, fino al momento della cessione a un altro soggetto.
Infine, l’allegato 1 è interamente dedicato alle biomasse che possono essere utilizzate come sottoprodotti per la produzione di biogas (sezione 1) o per la generazione di energia mediante combustione (sezione 2).
Da notare come nel nuovo decreto non rientrano i materiali di scavo e digestato non proveniente da rifiuti, rispettivamente disciplinati dal D.M. n. 161/2012 (attualmente in fase di revisione) e dal D.M. 25 febbraio 2016, n. 5046.
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