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Con il decreto legislativo n. 254/2016, gli enti di interesse pubblico devono rendere trasparenti le cosiddette informazioni “non finanziarie”, ai sensi della direttiva 2014/95/UE. Fino a 150.000 euro di sanzione per i trasgressori.
Il binomio economia-ambiente è ormai da tempo un punto fisso nelle agende di molti Paesi entrando sempre di più a far parte delle rispettive politiche di sviluppo. Un salto di qualità in questo senso è avvenuto nel 2011 grazie alla pubblicazione di due comunicazioni della Commissione Europea [13 aprile 2011, COM (2011) 206 e 25 ottobre 2011, COM (2011) 681] che hanno posto l’attenzione sulla necessità di rendere trasparenti e consultabili anche determinate informazioni di carattere non finanziario, con particolare riferimento a temi ambientali e sociali. Indicazioni, queste, riprese a due anni di distanza in due risoluzioni del Parlamento europeo (28 gennaio 2013 e 6 febbraio 2013) come possibili strumenti per consolidare la fiducia di investitori e consumatori. Infine, nel 2014, la direttiva 2014/95/UE, di modifica della 2013/34/UE «relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese» ha introdotto l’obbligo di trasparenza su informazioni riguardanti gli effetti, in corso e a tendere, che le attività dell’impresa possono avere sull’ambiente, sulla salute e la sicurezza, sull’utilizzo delle risorse energetiche rinnovabili e/o non rinnovabili, sulle emissioni di gas a effetto serra, sull’impiego di risorse idriche e sull'inquinamento atmosferico.
La direttiva 2014/95/UE è stata recepita nell’ordinamento italiano con la recente pubblicazione del decreto legislativo 30 dicembre 2016, n. 254 (in vigore il 25 gennaio 2017), che, di fatto, ha disposto una serie di misure sulle informazioni di carattere non finanziario per alcuni gruppi di “grandi dimensioni”. Con questa accezione si intendono gli enti di interesse pubblico (sostanzialmente società quotate, banche, compagnie di assicurazione e riassicurazione) con un numero di dipendenti maggiore di cinquecento nel corso dell’esercizio finanziario e che, alla data di chiusura del bilancio, abbiano superato almeno uno dei due seguenti limiti dimensionali: 20.000.000€ come totale dello stato patrimoniale o 40.000.000€ come totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni.
Per queste tipologie di società corre, dunque, l’obbligo di redigere una dichiarazione individuale (o consolidata per le società “madre” dei gruppi di grandi dimensioni) su temi socio-ambientali (compresi il rispetto dei diritti umani e la lotta alla corruzione) tale da rendere più trasparente il proprio operato, l’andamento delle proprie attività e gli eventuali impatti, a beneficio degli stakeholders. Per fare ciò, i soggetti obbligati dovranno comunicare dati su: il principale modello organizzativo aziendale adottato, unitamente ad altri integrativi (ad esempio sistema di gestione ambientale, della sicurezza, “231”, eccetera); le politiche messe in atto, verificate anche in base ai traguardi ottenuti e alla luce di indicatori di performance non finanziaria; la mappatura dei possibili rischi per l’ambiente e per le condizioni di lavoro, non solo interni all’azienda e ai relativi prodotti/servizi, ma anche con riferimento ai fornitori, compresi quelli in subappalto.
In caso di inosservanza, dichiarazioni incomplete o false sono previste sanzioni amministrative che oscillano tra 7.000 e 150.000€ di ammenda a seconda del reato commesso.
Non mancano, infine, i casi di esenzione (per i quali corre comunque l’obbligo del riscontro), come ad esempio per le imprese in fase di negoziazione che, a fronte della divulgazione di informazioni non finanziarie, potrebbe subire un grave danno sotto il profilo commerciale.
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