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Coldiretti denuncia la scomparsa di oltre il 25% del suolo coltivabile italiano, mentre Comuni e Regioni soccombono sotto cementificazione e dissesti idrogeologici. La medesima situazione europea porta alla nascita di iniziative popolari che richiedono una legislazione in materia.
Oltre un quarto di terreno coltivabile in meno. Questa l’eredità italiana di un modello di sviluppo scriteriato che nell’ultimo ventennio ha puntato sulla cementificazione senza prendere le difese delle superfici agricole. Il consumo di suolo ha reso il territorio meno ricco e più fragile, i cambiamenti climatici hanno inasprito le precipitazioni e con l’impermeabilizzazione dovuta alle costruzioni la capacità di assorbire l’acqua è scemata drasticamente.
Secondo l’Anbi (Associazione Nazionale Biotecnologi Italiani), il 10% del territorio è a rischio idrogeologico. I dati Ispra parlano dell’88% del totale dei comuni italiani a pericolo frane e alluvioni. Per Coldiretti, gli ettari a disposizione sono rimasti soltanto 12,8 milioni, a fronte di un’attività che li copre di cemento e asfalto per una media di 240 metri quadrati al minuto. Le metropoli avanzano a tal punto che spesso è già stato consumato tutto il consumabile, così le vittime della cementificazione diventano soprattutto i piccoli Comuni adiacenti, quelli con meno di 5000 abitanti. Un’espansione che inghiottisce, un gioco a perdere.
Campania, Lombardia e Veneto sono le tre regioni che hanno registrato le maggiori perdite di suolo in tal senso. Altre realtà, come la Calabria, sono talmente indietro che sono riuscite soltanto ora a coordinare una legge urbanistica regionale con la strategia nazionale. L’obiettivo italiano è raggiungere il consumo netto di suolo pari a zero entro il 2050, ma il traguardo è lontano. Il presente è un contesto di abusivismo, inquinamento e processi di raccolta differenziata che tardano ad attivarsi.
In Europa la situazione non è differente. Ogni anno centinaia di migliaia di ettari di suolo fertile vengono completamente distrutti e non vi è la giusta considerazione sociale ed economica. L’attenzione al tema è ancora troppo scarsa, soprattutto per via della mancanza di norme vincolanti volte a proteggere i terreni che non fa sentire in dovere gli Stati membri di intervenire su una materia tanto sensibile. Ma il cambiamento è talmente tangibile e la paura di concreti effetti negativi su alimentazione e salute è così elevata che i cittadini hanno deciso di intervenire in prima persona.
L’iniziativa è europea, un’azione popolare chiamata People4soil che punta a raccogliere un milione di firme entro il settembre 2017. A caldeggiare il contrasto al degrado di suolo sono centinaia di associazioni ambientaliste e agricole che si sono unite per creare un ICE (Iniziativa dei Cittadini Europei). L’obiettivo è l’emanazione di una direttiva specifica contro l’urbanizzazione selvaggia e la speculazione, a difesa del territorio e dell’ambiente. In Italia tale iniziativa si è tradotta in un coordinamento denominato #salvailsuolo, guidato da Coldiretti, ACLI, FAI, Legambiente, INU, LIPU, Slow Food e WWF.
La nuova direttiva dovrà condurre le autorità locali a bonificare i suoli compromessi dall’inquinamento e a porre fine alla cementificazione. Probabilmente si dovrà tradurre in obbligo, altrimenti la sfida su scala globale resterà ardua. Per questioni meramente economiche, il risanamento del suolo non è tanto conveniente quanto il ripiegamento sullo sfruttamento di terreni di altri continenti, modalità d’azione che ha creato i fenomeni di land grabbing contribuendo a formare sottosviluppo e migranti ambientali.
La Giornata Mondiale del Suolo, promossa dall’ONU il 5 dicembre, non deve rimanere un’occasione di appello isolato. È senza dubbio positivo che centinaia di associazioni si siano riunite per la prima volta a formare un fronte comune a difesa del suolo, ma proteggere il patrimonio agricolo e la disponibilità di terra fertile dovrebbe essere un obiettivo primario di un Paese che ha a cuore il proprio stile di vita, economia interna, salute e PMI.
Sul sito di salvailsuolo l’appello è chiaro e diretto: “senza un suolo sano e vivo non c’è futuro per l’uomo. Oggi il suolo è violentato, soffocato, contaminato, sfruttato, avvelenato, maltrattato, consumato. Un suolo sano e vivo ci protegge dai disastri ambientali, dai cambiamenti climatici, dalle emergenze alimentari. Tutelare il suolo è il primo modo di proteggere uomini, piante, animali”.
Sicurezza alimentare, conservazione della biodiversità e mitigazione dei cambiamenti climatici dipendono anche dalla capacità dell’uomo di difendere un patrimonio comune prima di doverlo rimpiangere.
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