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In corso i Giochi Olimpici 2016 tra medaglie “riciclate”, certificazione ISO 20121 e denunce da parte delle ONG sulle violazioni dei diritti umani.
Tra diritti dei popoli indigeni negati e abuso di potere da parte delle forze dell’ordine, è spontaneo domandarsi se i Giochi Olimpiadi - inaugurati a Rio il 5 agosto - siano realmente “sostenibili”.
Di fatto, nonostante le più che legittime rivendicazioni di ONG e opinione pubblica internazionale sul rispetto dei diritti umani, c’erano e ci sono tutti i presupposti per un evento all’insegna della sostenibilità economica e sociale.
In primis si tratta di un evento certificato ISO 20121. Lo standard di gestione relativo all'organizzazione sostenibile di eventi è stato consegnato lo scorso gennaio a Carlos Nuzman - Presidente del Comitato organizzatore delle Olimpiadi di Rio de Janeiro – a seguito di una serie di audit esterni che hanno verificato la sostenibilità dell’iniziativa.
Nella manifestazione olimpica, inoltre, sono state tenute in considerazione diverse accortezze per minimizzare l’impatto ambientale. Ad esempio, il tanto ambito oro olimpico che coronerà gli atleti migliori è stato prodotto completamente senza l'uso di mercurio.
Mentre le medaglie in argento e bronzo sono state realizzate al 30% con materiali di recupero. Sostenibili anche i nastri delle medaglie – costituiti al 50% da plastica riciclata - e gli appositi contenitori– realizzati con legno certificato FSC. I processi di estrazione e raffinazione dei metalli sono stati inoltre realizzati sono nel rispetto dei diritti dei lavoratori coinvolti.
Nonostante la volontà di investire in un evento che abbia a cura la sostenibilità ambientale e sociale, ONG di fama internazionale hanno denunciato numerose violazioni dei diritti umani che hanno coinvolto le recenti Olimpiadi.
A giugno, Amnesty International ha pubblicato il rapporto "Non c'è spazio per la violenza in questi Giochi!", al fine di documentare l’aumento dei rischi di violazione dei diritti umani durante i mega eventi sportivi. L’Organizzazione ha lanciato un appello globale agli organismi coinvolti nelle Olimpiadi e alle autorità brasiliane chiedendo misure preventive per evitare ulteriori violazioni da parte delle forze di sicurezza. Amnesty ha inoltre lanciato “Fogo Cruzado” - un app per raccogliere segnalazioni di sparatorie e violenza armata da parte di persone che vivono nella città di Rio de Janeiro. In un solo mese sono state segnalate 756 sparatorie.
Lo scorso aprile, invece, con la Campagna “Fermiamo il genocidio in Brasile”, Survival International ha chiesto alle istituzioni locali di proteggere i diritti delle tribù incontattate e di opporsi all’emendamento PEC 215, una proposta di legge che secondo l’ONG, metterebbe a serio rischio le popolazioni indigene concedendo ai proprietari terrieri anti-Indiani la possibilità di bloccare il riconoscimento di nuovi territori indigeni e di poter frammentare quelli già esistenti.
Siamo davanti all’ennesimo caso di “green e social washing” o ancora nella comunità internazionale rimane poco chiaro che la sostenibilità è un genuino impegno che deve integrarsi strategicamente lungo tutta la catena del valore?
Nel caso di Rio 2016, ovviamente più che di responsabilità delle imprese, si tratta di mancata responsabilità da parte dello Stato di tutelare i propri cittadini e tener fede alle convenzioni internazionali sui diritti umani.
Al momento, per Rio 2016, nessun oro olimpico della sostenibilità.
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