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Il recente decreto del ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare 30 marzo 2016, n. 78, conferma di fatto lo stallo che caratterizza, fin dall’inizio, il sistema di tracciabilità dei rifiuti.
Più rimandi che novità. In estrema sintesi questo è quanto emerge dalla lettura del decreto del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare 30 marzo 2016, n. 78, ultimo aggiornamento legislativo in materia di SISTRI. L’impressione è che si sia persa l’ennesima occasione per tentare di rendere finalmente operativo uno strumento, quale appunto il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, che, a distanza di 7 anni dal “varo”, resta di fatto ancora al palo. Fatto, quest’ultimo, estremamente grave, per una serie di motivi che spaziano dal mancato decollo di un sistema nazionale di gestione dei rifiuti improntato a criteri moderni, efficienti e pienamente trasparenti (tema particolarmente delicato a fronte del fenomeno dilagante delle cosiddette “ecomafie”) fino ai contributi versati anticipatamente dalle imprese a fronte di un servizio mai erogato. Comprensibili, pertanto, le aspettative degli operatori del settore che, tuttavia, anche dopo la pubblicazione del D.M. n. 78/2016, sono destinate a rimanere deluse.
Entrando nel merito delle singole disposizioni va rilevato, innanzitutto, il tentativo di definire con maggiore precisione l’ambito di applicazione del SISTRI, individuando nella soglia dei 10 dipendenti lo spartiacque tra i soggetti obbligati e quelli esenti (anche in presenza di rifiuti pericolosi), aggiungendo a questi ultimi attività superiori a tale soglia nel caso in cui si avvalgano di “circuiti organizzati di raccolta”. La validità della misura è tuttavia inficiata in parte da due incongruenze: la prima riguarda il fatto che, proprio sui “circuiti organizzati” il nuovo decreto si limiti a riproporre pedissequamente la disciplina del D.M. n. 52/2011, contribuendo così allo stallo e al perdurare dell’incertezza; la seconda è dettata dalla sovrapposizione con disposizioni precedenti che hanno, di fatto, introdotto altri regimi di esenzione a prescindere dal numero di dipendenti o dalle modalità di conferimento, generando così ulteriore confusione.
Irrisolta resta pure la questione legata all’iscrizione al SISTRI per i produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi che conferiscono i propri rifiuti con mezzi aziendali (imprese iscritte alla categoria 2-bis dell’Albo nazionale gestori ambientali), sul quale il D.M. n. 78/2016, se possibile, contribuisce a creare ulteriore ambiguità tra i criteri che permettono l’esclusione e quelli che ne sanciscono l’obbligatorietà.
Altra nota dolente riguarda, infine, la figura del cosiddetto “delegato SISTRI”, ovvero il soggetto che, essendo delegato all’utilizzo in azienda del sistema, è inevitabilmente a contatto con una serie di dati sensibili. Proprio per il ruolo che riveste e le relative responsabilità (anche con riferimento a eventuali questioni giudiziarie), questa figura è stata finora regolamentata dal decreto istitutivo del SISTRI (D.M n. 52/2011) in accordo con alcuni principi “Codice dell'amministrazione digitale” (D.Lgs. n. 82/2005) e il D.Lgs. n. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Tuttavia, il nuovo decreto agisce in direzione opposta, cancellando alcune disposizioni del precedente D.M n. 52/2011 e relegando, di fatto, il delegato a un semplice ruolo esecutivo, con conseguenti complicazioni in sede di attribuzione di compiti, ma anche di responsabilità a fronte di eventuali inadempienze.
In conclusione, il D.M. n. 78/2016 conferma più che altro la “tradizione” negativa che ha caratterizzato il SISTRI fin dagli esordi, ribadendo, di fatto, lo stato di “paralisi” del sistema e delle relative finalità (tracciabilità, tutela ambientale, ripristino di aree contaminate, ecc.).
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