Fitofarmaci nell’orto, il paradosso italiano: serve il patentino, ma manca la formazione
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Fitofarmaci nell’orto, il paradosso italiano: serve il patentino, ma manca la formazione

Dal 26 novembre 2015, il PAN prevede l'obbligo di un patentino per l'acquisto di fitosanitari a uso professionale. Il COMPAG denuncia come le Regioni non si siano adeguate al provvedimento, mancando spesso di attivare i corsi di formazione necessari a ottenere il certificato.

Prodotti, di sintesi o naturali, utilizzati per combattere le principali avversità delle piante quali malattie infettive, fisiopatie, parassiti, fitofagi animali, piante infestanti: sono i fitofarmaci, altrimenti detti prodotti fitosanitari, agrofarmaci o ancora pesticidi, con tutto il carico di sospetto che il termine porta inevitabilmente con sé. Inevitabilmente e giustamente, perché se è vero che “siamo quello che mangiamo”, è bene non transigere sulla sicurezza dei prodotti con cui viene coltivato il nostro cibo.

Il PAN, Piano d'Azione Nazionale per l'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari promosso dal Ministero dell'Ambiente, si pone come obiettivo la riduzione dei rischi nell’utilizzo degli agrofarmaci per la salute umana, l’ambiente e la biodiversità, agendo attraverso diverse misure tra le quali la formazione degli operatori. In quest'ottica, il programma prevede che “a decorrere dal 26 novembre 2015, chiunque intenda acquistare e/o utilizzare i prodotti fitosanitari destinati ad uso professionale debba essere dotato di un apposito certificato di abilitazione (patentino)”.

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L’abilitazione, non una novità in assoluto, era già prevista per i prodotti qualificati come tossici, molto tossici o nocivi. L’estensione dell’obbligo all’acquisto e all'utilizzo dei prodotti professionali, tuttavia, amplia notevolmente il numero degli interessati, esonerando soltanto chi ha un possiede un orto o un giardino molto ridotti e includendo, ad esempio, chi coltiva regolarmente i propri appezzamenti in campagna: è il caso di numerosi hobbisti e altrettanti pensionati, i quali saranno costretti a tornare a “scuola” pur avendo presumibilmente, in molti casi, poco o nulla da imparare.

Ma al di là degli specifici casi che possono creare dibattito attorno al provvedimento, esiste un enorme paradosso che lo rende, al momento, impraticabile. Se da un lato, infatti, gli acquirenti gli utilizzatori, i rivenditori e i consulenti che necessitano di fitofarmaci a uso professionale devono sottoporsi a formazione obbligatoria, con tanto di corso di 20 ore, esame finale e successivi corsi di aggiornamento quinquennali, dall'altro le Regioni (ovvero gli organi incaricati dallo Stato di gestirne l'attivazione sui vari territori) non sono attualmente in grado di fornire la formazione richiesta.

Con il risultato che, secondo la denuncia gridata a piena voce da COMPAG- Federazione Nazionale Commercianti di Prodotti per l'Agricoltura, ad oggi su un milione e mezzo di aziende agricole solo trecento mila sono in possesso di patentino, mentre i sette milioni e 200 mila hobbisti italiani senza possibilità di ottenere il certificato rischiano di rimanere immobilizzati, vedendosi negato l'accesso a quei prodotti, tra cui quel solfato di rame e quello zolfo ritenuti idonei nelle colture biologiche, che hanno sempre trovato in libera vendita.

Secondo il Presidente di COMPAG Fabio Manara, sono molte le responsabilità delle istituzioni in questa discrepanza fra il provvedimento e la sua applicabilità: “in due anni poco o nulla è stato fatto per mettere gli operatori agricoli in condizioni di adeguarsi alla normativa. Ad aggravare la situazione è stata la macchina burocratica che ha affidato i corsi e il rilascio dei patentini alle singole Regioni, che a loro volta hanno demandato a una pletora di organi territoriali”. “Che qualcuno si muova”, esorta la Federazione in una recente nota stampa: pena la compromissione della produzione agricola in più parti del Paese.

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