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Complice la diffusione più capillare dell’ideologia del riuso e una riflessione più profonda sulle tematiche della sostenibilità e dell’economia circolare, negli ultimi tempi stiamo assistendo ad un ritorno globale al valore del riutilizzo. Se ieri la parola d’ordine era riciclo, oggi si parla di riuso.
Saranno i cosiddetti “corsi e ricorsi storici”; sarà che il buon senso affonda le sue radici nella saggezza popolare; ammettiamo pure che sia un effetto del nobile postulato di Lavoisier “nulla si crea, nulla si distrugge”, ma il riuso sta diventando una pratica sempre più diffusa e popolare. Complice anche, e per fortuna, una diffusione più capillare e una riflessione più profonda sulle tematiche della sostenibilità e dell’economia circolare, negli ultimi tempi stiamo assistendo ad un ritorno globale al valore del riutilizzo. Nuova vita quindi ad oggetti e abiti dismessi ma non solo, anche tanta, tantissima attenzione allo spreco di cibo e risorse. Ieri la parola d’ordine era riciclo, oggi è riuso: non si parla più, infatti, di puro e semplice riciclaggio, pratica buona e giusta che però richiede energie e risorse per raccogliere, ordinare ed elaborare i materiali ma di trovare un nuovo utilizzo e donare nuova vita agli oggetti che dobbiamo buttare.
In fondo si tratta di un modo più green per riciclare, basta soltanto prendere cose destinate al cestino e creare qualcosa di nuovo e utile. Non solo si aiuta l'ambiente, ma si risparmia anche un po' di denaro. Ecco così che una vecchia valigia può diventare un bellissimo tavolino; il flacone di plastica vuoto del detersivo può essere trasformato in un modernissimo porta-riviste; il fiasco di Lambrusco vuoto, una rustica lampada da tavolo. L’universo del riutilizzo non si limita naturalmente a questi esempi di riciclo “creativo” ma si applica anche a numerosi altri ambiti. In America per esempio è nata la “lobby dei riparatori” che ampliando il lavoro avviato dal Digital Right to Repair, ha “fondato” The Repair Association, una nuova coalizione che lega in sé i professionisti, gli hobbisti e i consumatori che non ne vogliono proprio sapere di buttar via gli oggetti guasti, ma che rivendicano il diritto di regalargli una seconda vita. Non solo hanno dirottato milioni di prodotti destinati alle discariche ma hanno anche dato un supporto sostanzioso alla micro-economia, favorendo un mercato di riparazione competitivo per combattere il monopolio delle multinazionali che impongono le loro regole sui pezzi di ricambio e che più in generale puntano invece al concetto di sostituzione del prodotto.
Senza abbandonare il “vecchio continente” per incentivare le tecniche di smaltimento legali e il riciclo, Erp Italia, uno dei sistemi collettivi che gestiscono a norma RAEE e RPA (rifiuti da pile e accumulatori), ha promosso, insieme ad altri partner europei (WRAP, EARN, Wuppertal Institute, KTN), il bando di gara Critical Raw Material Closed Loop Recovery per recuperare rame, oro, argento e terre rare e altre materie preziose contenute nei nostri smartphone, vecchi cellulari e apparecchiature elettroniche.
Insomma, sempre meno inconsapevolmente nascondiamo nei nostri cassetti tesori quasi inestimabili per l’economia circolare e l’ambiente. Stringendo il cerchio e tornando sul suolo nazionale, a Monselice nel padovano è stato avviato un progetto di riciclo incentivante, ovvero per ogni bottiglia o lattina avviata a riciclo si riceverà, oltre ai soliti coupon e buoni sconto anche 1 centesimo di ricarica sul proprio smartphone. Facendone un discorso meramente economico, infatti, mai il detto “riciclare e riusare paga” fu più vero. Ad attestarlo una ricerca voluta da Schibsted Media Group in collaborazione con il portale Subito.it che ha evidenziato come evitando la produzione di nuove autovetture, arredamenti vari, oggetti di elettronica, abbigliamento (e tutto ciò che alletta i collezionisti e habituè di mercatini delle pulci vintage) e allungando la vita ai prodotti passandoli di mano ed evitandogli morte certa in discarica, l’ambiente sembra trarne beneficio con una riduzione di 12,5 milioni di tonnellate di CO2 che la Second Hand Economy eviterebbe di emettere nell'ambiente.
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