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Survival International denuncia Salini Impregilo per l’impatto socio-ambientale della Diga Gibe III in Etiopia
Il mese scorso, Survival International – il movimento che si batte per i diritti dei popoli indigeni – ha presentato un’istanza all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) in merito alla costruzione della diga Gibe III in Etiopia da parte di Salini Impregilo – gruppo italiano operante nel settore delle costruzioni e dell'ingegneria.
Gibe III, costruita nel bacino centrale del fiume Omo, è uno dei progetti idroelettrici più grandi di tutta l’Africa. L’impianto, assegnato a Salini nel 2006, servirà sia a produrre energia destinata in gran parte all’esportazione, sia a permettere l’irrigazione di vaste aree della bassa valle dell’Omo, dove sono già in fase di sviluppo piantagioni industriali di canna da zucchero e altre monoculture destinate principalmente alla produzione di biocarburanti.
Survival International si è rivolto al Punto di Contatto Nazionale (PNC) OCSE in Italia, organo che – tramite un meccanismo non giudiziale di risoluzione delle controversie - ha facoltà di intervenire quando uno stakeholder ritiene che un’azienda italiana, oppure operante sul territorio italiano, abbia assunto comportamenti contrari alle raccomandazioni delle Linee Guida OCSE sulla condotta delle imprese multinazionali.
Nello specifico, Survival denuncia il grave impatto che Gibe III avrà sulle tribù della bassa Valle dell’Omo in Etiopia e attorno al lago Turkana in Kenya. La diga, secondo l’ONG, metterà fine alle esondazioni naturali del fiume distruggendo il fragile ecosistema dell’area e i mezzi di sussistenza di circa 500.000 indigeni, rimasti, secondo l’Organizzazione, fino ad oggi sostanzialmente autosufficienti in uno degli ambienti più aspri del pianeta.
La costruzione della diga, specifica Survival, ha comportato la violazione di fondamentali diritti umani di questi popoli, tra cui quello all’autodeterminazione, allo sviluppo e alla libera disponibilità delle loro ricchezze e delle loro risorse naturali.
Nell’istanza al PNC OCSE, inoltre, Survival imputa alla Salini la mancata realizzazione della dovuta, adeguata e completa valutazione di impatto socio-ambientale del Progetto.
In una nota pervenuta alla nostra Redazione la scorsa settimana, l’Azienda ha evidenziato che, il pieno funzionamento delle diga garantirà dei flussi costanti di acqua che fungeranno da acceleratore del processo di sviluppo industriale locale, e favoriranno l’innalzamento della qualità e dell’attesa di vita media delle popolazioni attraverso il miglioramento delle condizioni sanitarie. A tal proposito, e in discordanza con quanto denunciato da Survival, l’Azienda ha affermato che dall’Environmental e Social Impact Assessment (ESIA) del progetto è emerso che le popolazioni locali sono autosufficienti solo per circa 1/3 di anno, mentre sono sottoposte a regime di “food aid” per i restanti 2/3.
L’Azienda ribadisce, inoltre, che in fase di progettazione delle infrastrutture sono stati presi adeguatamente in considerazione gli esiti degli studi ambientali e sociali, approvati dall’Autorità Etiope per la Protezione Ambientale (EPA) e condivisi con organismi internazionali quali Banca Mondiale, Banca Africana di Sviluppo e Banca Europea per gli Investimenti.
Un altro nodo cruciale dell’istanza presentata da Survival riguarda la mancata consultazione libera, preventiva e informata dei popoli indigeni colpiti dalla costruzione della diga e l’assenza di reali piani di mitigazione e di condivisione dei benefici.
A riguardo, l’Azienda ribadisce, che nel corso degli anni sono state svolte diverse consultazioni che hanno coinvolto circa 2000 membri della comunità della Valle dell’Omo. Salini, inoltre, precisa che la serie di interviste svolte nel 2014 da una delegazione del Development Assistance Group (DAG), ha confermato l’assenza di fenomeni di sgombri forzati delle tribù relativi al progetto Gibe III. Ciò è in contraddizione con quanto, invece, afferma Survival nell’istanza OCSE. L’ONG, infatti, rimanda proprio alla relazione della DAG per denunciare che le comunità locali non sono state né messe al corrente della reale entità del progetto di trasformazione della valle, né abbiano avuto alcuna alternativa alla “villaggizzazione” permanente. Sul tema dei reinsediamenti l’Azienda infine afferma che si tratta di un programma di sviluppo rurale nazionale gestito dal Governo etiopico.
I punti di discordanza da parte dell’Azienda e dell’Organizzazioni sono dunque molteplici. Spetterà ora all’OCSE decretare se Salini ha assunto o meno una condotta responsabile in Etiopia e se i processi di consultazione preventiva e compensazione siano stati correttamente applicati. Nella vicenda gioca sicuramente un ruolo importante anche lo Stato etiope che dovrebbe tutelare le comunità native in quanto firmatario della Carta Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli.
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