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Ambiente
Il piccolo Stato asiatico è un esempio mondiale virtuoso per il contenimento delle emissioni, ma dovrà affrontare nuove sfide socio-economiche e ambientali per difendere il proprio ecosistema.
Nella catena himalayana, tra due degli Stati più popolati del mondo, Cina e India, sorge una piccola nazione di circa 700mila abitanti e nemmeno 47mila km²: il Bhutan. Ricordato per le vicende socio-politiche che a metà degli anni ’80 portarono all’espulsione dei Lhotshampas, minoranza di origine nepalese costretta a insediarsi in campi per rifugiati oltre confine, le politiche ambientali attuali lo rendono un esempio globale di sostenibilità.
L’idea della monarchia costituzionale – forma di governo vigente dal 2007 – è riuscire a coniugare crescita economica, sviluppo sociale e sostenibilità ambientale. Per fare ciò, oltre a garantire istruzione e sanità gratuita ai cittadini, da un paio d’anni ha stipulato un accordo commerciale per la totale transizione del trasporto pubblico ai veicoli elettrici, optando inoltre per investimenti mirati all’adozione del LED, all’abbandono della carta e alla fornitura gratuita di elettricità agli agricoltori.
L’intera produzione energetica nazionale si basa sul comparto idro-elettrico, il più adatto a sfruttare un contesto geologico in cui il 72% del suolo è boschivo. La Costituzione stessa, come ribadito anche alla recente COP21 di Parigi, esige che almeno il 60% del territorio sia perennemente ricoperto da foreste: tale vegetazione consente non soltanto di azzerare le emissioni, ma anche di compensare quelle dei Paesi circostanti, assorbendo oltre 4 mln di tonnellate di anidride carbonica annui (oltre al doppio di quelli generati) e compensandone più di 6 mln aggiuntivi grazie all’esportazione energetica.
Avendo però un’economia ancora poco sviluppata, il Bhutan non riesce a essere auto-sufficiente, e la produzione energetica avviene soprattutto grazie ai finanziamenti dell’India, che di conseguenza ne è anche la maggior beneficiaria in quanto a importazioni e, forte del proprio potere contrattuale, spinge per sfruttare ulteriormente le riserve idriche e minerarie dello Stato, senza badare all ’impatto ambientale. Inoltre, sul fronte cinese delle catene montuose, la proliferazione di dighe devia il corso di alcuni fiumi dell’ Himalaya, interrompendo buona parte delle fonti dell’industria idroelettrica bhutanese.
Questo, unitamente alle conseguenze tangibili del surriscaldamento globale, mette a repentaglio la continuità della sostenibilità economica ed ecologica della regione. Il sempre più ingente scioglimento dei ghiacciai, infatti, sta causando allagamenti e slavine, facilitando la formazione di laghi pronti a straripare ed a danneggiare i contesti rurali. Onde evitare una migrazione di massa dalle campagne, a patto di non interferire con i terreni della popolazione locale, una soluzione potrebbe essere lo sviluppo autonomo di impianti di energia solare ed eolica, nonché la costruzione di centrali a biomasse.
L’importante, però, è mantenere attivo il coinvolgimento degli abitanti, come è avvenuto il 6 Marzo in occasione della nascita del primogenito del Re, Jigme Khesar Namgyel Wangchuck, quando centinaia di volontari si sono radunati per piantare 108 mila nuovi alberi. L’efficacia di una politica sostenibile che è sempre più un modello globale da cui trarre ispirazione, difatti, si basa soprattutto sulla radicata convinzione culturale dell’importanza della natura e dell’ecosistema, considerati un patrimonio imprescindibile per la sopravvivenza e il benessere individuale e sociale.
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4 Novembre 2024Iscriviti alla nostra Newsletter!
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