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Il settore dei biocarburanti può rappresentare una componente centrale nello sviluppo delle energie rinnovabili. Il sistema di certificazione attuale presenta luci e ombre: quali sono i limiti e le prospettive per questo comparto della green economy italiana?
I biocarburanti, come definiti nella Direttiva 2009/28/CE, costituiscono la tipologia principale di combustibile alternativo nel settore dei trasporti, il quale entro il 2020, dovrà includere almeno il 10% di energia rinnovabile. Sviluppare in maniera strategica e integrata questo comparto, significa dare nuova linfa alla green economy e contribuire in modo sostanziale alla riduzione delle emissioni globali di CO2, e quindi sostenere il processo di mitigazione dei cambiamenti climatici, purché ne sia garantita la produzione in modo sostenibile e controllato.
Pertanto, nella suddetta Direttiva, vengono anche indicati i criteri di sostenibilità per i biocarburanti. Questi sono relativi in primo luogo alla riduzione di emissioni di gas serra in tutto il “ciclo vita”, (dalla coltivazione della materia prima fino all’uso finale del biocarburante), rispetto all’impiego dei corrispondenti carburanti di origine fossile. Un altro aspetto importante riguarda le materie prime con cui sono prodotti i biocarburanti che non devono provenire da terreni ad alta biodiversità e tanto meno da terreni che presentano un elevato stock di carbonio o da torbiere. Sempre in merito alle materie prime utilizzate, se sono coltivate nel territorio dell’Unione Europea, esse devono rispettare il Regolamento CE 73/2009 che stabilisce i requisiti e le norme per il mantenimento di buone condizioni agricole e ambientali.
In Italia, con il Decreto del 10 ottobre 2014, è stato introdotto l’obbligo, per i fornitori di benzina e gasolio, di immettere nel territorio nazionale (“immissione in consumo”) una quota minima di biocarburanti ogni anno. Come strumento per il monitoraggio dell’assolvimento dell’obbligo sono stati dunque istituiti i “Certificati di Immissione in Consumo” di biocarburanti, (C.I.C), che accompagnano il biocarburante nel passaggio dal produttore al distributore e attestano l’immissione in consumo di 10 Gcal (1 Gcal = 10^9 cal). Per assolvere al proprio obbligo, i soggetti interessati possono acquistare questi Certificati da altri che ne avessero in eccesso, rispetto a quanto loro necessario, utilizzando un’apposita piattaforma informatica. In caso di mancato raggiungimento del numero minimo di Certificati utili all’adempimento del proprio obbligo, al soggetto inadempiente viene imputata una sanzione, la cui entità varia in funzione del diverso peso percentuale dei certificati di immissione in consumo.
In questo meccanismo, il valore di mercato dei C.I.C, rappresenta dunque il valore chiave di riferimento per l’incentivo implicito nella remunerazione che il produttore ottiene quando vende il biocarburante al distributore che lo immette in consumo. Tuttavia, la principale criticità emerge riguardo le difficoltà nel ricostruire la catena completa della filiera, cosa che rischia di compromettere la capacità di controllo per eventuali frodi, in quanto il soggetto obbligato ha la possibilità di fornire indicazioni chiare solo sul passaggio a lui precedente. Risolvere questo aspetto potrebbe rappresentare un’opportunità strategica nello sviluppo dei biocarburanti a sostegno della green economy nostrana, specialmente per quanto riguarda le opportunità industriali nell’ammodernamento del parco auto e nell’utilizzo di biogas recuperati da allevamenti, imprese di trasformazione alimentare e discariche.
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