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Dopo un fuoco di fila di fronte al quale il governo è intervenuto con modifiche nella legge di Stabilità, arriva il Sì della Corte Costituzionale al quesito sulla durata delle autorizzazioni per le trivellazioni nel mar Adriatico e nell'entroterra italiano.
Correva l'anno 2015 e i rappresentanti dei Consigli regionali di dieci Regioni - Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise, ridotte poi a nove dopo il dietrofront dell'Abruzzo - avevano depositato in Cassazione sei quesiti referendari contro le trivellazioni nell’Adriatico e sul territorio nazionale.
Oggetto della contesa erano l’articolo 35 del Decreto Sviluppo del governo Monti, che dà il via libera a operazioni di ricerca ed estrazione di idrocarburi nella fascia tra le 5 e le 12 miglia dalla costa, e l'articolo 38 dello Sblocca Italia di Renzi, che consente procedure accelerate per queste attività di interesse strategico e di pubblica utilità, urgenti e indifferibili.
Dopo il via libera della Cassazione del 27 novembre, di fronte al quale il governo è intervenuto con una serie di modifiche nella legge di Stabilità, stabilendo anche il divieto di trivellazioni entro le 12 miglia marine, e quello dell'8 gennaio 2016, che ha chiuso i giochi per 5 quesiti, è arrivato il turno della Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sul tassello centrale: quello sulla durata dei titoli per sfruttare i giacimenti, lì dove le autorizzazioni siano già state rilasciate. Un termine che la norma collega alla "durata della vita utile del giacimento". Una decisione inaspettata per il governo, che prima di Natale aveva dato indicazione al Parlamento di modificare la normativa sul petrolio attraverso la legge di stabilità per evitare i referendum, appuntamento vissuto con preoccupazione a Palazzo Chigi.
Risultato: il referendum sulle trivelle si farà.
La Corte Costituzionale ha infatti dichiarato ammissibile la consultazione referendaria sulla durata delle autorizzazioni già rilasciate per le esplorazioni e le trivellazioni dei giacimenti di gas naturale e di petrolio nel mar Adriatico e nell'entroterra italiano. Saranno i cittadini quindi a decidere se sarà possibile trivellare di fronte alle spiagge che vivono di turismo; se valga la pena mettere a repentaglio territori e ecosistemi in cambio di una ricaduta occupazionale minima e a tempo determinato e dire sì piuttosto ad un'altra idea di politica energetica, quella basata sull'uso delle energie rinnovabili, che già oggi forniscono oltre il 40% dell'elettricità totale generata nel Paese, e del miglioramento dell'efficienza energetica.
Ma non è tutto, adesso si parla anche del conflitto di attribuzione sollevato da sei regioni, alle quali se ne potrebbero aggiungere altre, secondo il comitato No triv, circa la “bocciatura” di due referendum: quello sul piano aree delle attività estrattive, su cui i governi regionali vogliono avere voce in capitolo; e quello sulla durata dei titoli, con l’obiettivo di eliminare le proroghe e sostituirle con le gare.
Il costituzionalista Enzo Di Salvatore, vicino ai No-Triv, traduce il risultato in termini calcistici: "Al momento il fronte referendario è sul 4-2 con Renzi" ma la partita sembra ancora tutta da giocare.
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