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Da una recente riflessione del Digital Evangelist Michele Vianello, un'analisi dello sviluppo Smart in Europa: cosa serve davvero per emergere dall'attuale situazione di stallo?
Smettiamola di parlare di smart cities: questo è l'appello lanciato da Michele Vianello attraverso le pagine di Agenda Digitale. Una richiesta inaspettata da parte di un “Digital Evangelist”, dietro alla quale si cela però una provocazione sulla quale vale la pena riflettere quando si parla di strategie di sviluppo smart.
Quello delle smart cities è un tema estremamente attuale, un ambito di potenziale rivoluzione su scala globale degli spazi urbani e della vita dei cittadini al loro interno. Il 2016 promette di svolgere un ruolo cruciale: secondo il recente rapporto “IDC FutureScape: Worldwide Smart City 2016 Predictions” di IDC Research, nel corso dei prossimi mesi il 15% delle città di tutto il mondo si doterà di un'anima smart, con l'implementazione di tecnologia e internet per migliorare i servizi e la qualità della vita degli abitanti.
Lo studio prevede un ruolo di traino per i settori della sicurezza e dei trasporti urbani intelligenti, capaci da soli di costituire il 45% del mercato smart. Per le aziende attive nel campo dell'Internet of Things, ciò si tradurrà in un giro d'affari di circa 270 miliari di euro.
Uno sviluppo incoraggiato anche dal sostegno europeo: dei 16 miliardi di euro destinati dalla Commissione Ue in ricerca e innovazione per i prossimi due anni, 2.5 miliardi di euro andranno al settore dei Big Data, mentre 1.1 miliardi di euro andranno all'Internet of Things.
In questo scenario evolutivo, al centro della città intelligente non può che trovarsi il cittadino, beneficiario finale di tutte le innovazioni introdotte. Ma il suo ruolo davvero può limitarsi a questo? Torniamo così alla provocazione di Michele Vianello, il quale chiede di smettere di parlare di smart cities, per iniziare a concentrarci piuttosto sugli smart citizen.
La crescita delle città intelligenti non può fondare le proprie basi solamente sulla tecnologia di cui si nutre e strutturare progetti di sviluppo fondati prevalentemente sullo stanziamento di risorse non si sta rivelando sufficiente. L'attuale approccio alla diffusione della tecnologia in modo programmatico già ha dato segno di avere delle lacune: i dati diffusi da Eurostat sulla Digital Europe mostrano una situazione di stasi nel corso del 2015, senza reali miglioramenti.
In particolare, due dati a confronto meritano attenzione: da una parte, è vero che la popolazione che usa internet regolarmente è cresciuta (l'obiettivo del 75% è stato raggiunto e superato, con il risultato del 76%), ma la popolazione che utilizza i servizi di eGovernment è regredita di un punto (da 47% a 46%, contro un target del 50%). Non va meglio per le PMI che vendono online, soprattutto in Italia: rispetto ad una media europea del 16%, con il picco del 32% dell'Irlanda, nel nostro paese il commercio a distanza è realtà soltanto per il 7% delle piccole e medie imprese italiane.
Problema di risorse? A fronte degli stanziamenti anche passati, sembra che la causa vada cercata altrove. Non nelle tecnologie, non nelle innovazioni: piuttosto, nella cultura e nella permeazione di questi elementi all'interno della vita quotidiana. Rimettere la tecnologia al servizio dei cittadini e permettere loro di diventare smart citizen, ovvero consapevoli utilizzatori di tali risorse. Più ancora che sulla ricerca, è su questo fronte che si gioca davvero il futuro delle città intelligenti.
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26 Giugno 2020Iscriviti alla nostra Newsletter!
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