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La Banca mondiale ha rilevato nei primi sei mesi del 2015 un boom delle rinnovabili nei Paesi in via di sviluppo: 74 progetti, finanziati da 12,4 miliardi di dollari di privati, destinati a crescere nel futuro prossimo grazie a iniziative come l'africana Arei.
Un boom di energie verdi nei Paesi in via di sviluppo. È la fotografia offerta dalla Banca mondiale per il 2015 che, in relazione ai 74 progetti pro-rinnovabili finanziati nel sud del mondo, ha fatto registrare nei primi sei mesi di quest'anno ormai agli sgoccioli investimenti privati pari a 12,4 miliardi di dollari. Niente di meno che la percentuale più alta mai registrata, con il 49% del totale degli investimenti da parte, appunto, di privati in infrastrutture energetiche, idriche e trasporti, il 64% dei quali concentrati sull'energia.
Le rinnovabili si impongono con il 59%, mentre i progetti che puntano sul carbone sono appena il 6%. Cile, Marocco, Pakistan, Giordania e Brasile si sono assicurati 26 iniziative sulle energie pulite per un totale di 5,3 miliardi, mentre il Sudafrica, con un programma basato su 16 accordi per un valore di 4 miliardi di dollari, può essere considerato di diritto un capofila della svolta rinnovabile.
In particolare, l'Africa nel suo complesso sembra destinata a ricoprire un ruolo da protagonista nello sviluppo delle fonti energetiche green. In occasione della COP21 da poco conclusasi a Parigi, infatti, è stata presentata l'African Renewable Energy Initiative (Arei), iniziativa che mira a trasformare il continente nel più pulito del Pianeta dal punto di vista energetico. Il piano punta molto in alto (almeno 10 GW di nuova capacità di generazione elettrica entro il 2020 e almeno 300 GW entro il 2030) e deve fare i conti con la peculiarità della situazione africana, in cui 640 milioni di abitanti non dispongono di elettricità.
Di qui l'importanza del progetto, posto che una copertura energetica per l'intero continente alimentata da vecchie fonti fossili sarebbe deleteria e insostenibile sotto tutti i punti di vista. A partire da questa altissima posta in gioco, che porta con sé quella che- almeno in potenza- può rivelarsi una enorme quanto fruttuosa occasione di business, sono molti gli investitori già coinvolti (Germania, Stati Uniti, Francia, Canada, Gran Bretagna, Spagna, Danimarca e Italia si sono già impegnati formalmente).
Com'è ovvio, un progetto tanto colossale necessita di ulteriori finanziamenti che, secondo le previsioni, giungeranno essenzialmente dalla collaborazione fra African Development Bank e Banca mondiale, oltre che dai bilanci dei singoli Stati africani, da altre istituzioni internazionali e investitori privati. Dal 2020, poi, il “Green Climate Fund” disporrà di una base di 100 miliardi di dollari per supportare la decarbonizzazione e diffondere le tecnologie pulite a livello mondiale.
Ma su quali risorse naturali si potrà contare per alimentare l'Africa dal punto di vista energetico? Un ruolo primario sarà riservato al solare fotovoltaico. Tuttavia, come ha spiegato a Parigi il viceministro dell'Ambiente del Kenya Judi Wakhungu, anche l’idroelettrico, l’eolico, le biomasse e la geotermia faranno la loro parte a seconda della conformazione territoriale. Per evitare, inoltre, i costi elevati di costruzione delle infrastrutture e contestualmente limitare gli sprechi, il proposito è quello di sviluppare delle reti autosufficienti e di piccole dimensioni.
Un piano articolato che, per quanto ambizioso, combina sostenibilità ed efficienza a un'appetibilità economica che potrebbe rivelarsi risolutiva: non solo nel caso africano, ma anche per altre auspicabili iniziative capaci di dare alla politica energetica mondiale quell'accelerazione green di cui ha assoluto bisogno.
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