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Secondo un report delle Nazioni Unite sul ciclo di vita della plastica biodegradabile non sarebbe vero che questi materiali non inquinano: anche le loro microplastiche contribuiscono al marine litter.
Arrivano segnali preoccupanti per lo stato dei nostri mari dall’indagine Biodegradable Plastics and Marine Litter. Misconceptions, Concerns and Impacts on Marine Environments elaborata dall’UNEP - United Nations Environment Programme in collaborazione con il GPA – Programma ambientale intergovernativo delle Nazioni Unite in occasione del 20esimo anniversario del Global Programme of Action for the Protection of the Marine Environment from Land-based Activities (GPA).
La ricerca si focalizza in particolare sull'effettiva eco-sostenibilità delle plastiche biodegradabili. La conclusione non è per nulla ottimistica: a differenza di quanto si sarebbe portati a immaginare, anche le plastiche biodegradabili contribuiscono all'inquinamento degli oceani. Questo perché, da una parte, la completa biodegradazione di queste tipologie di plastica avviene solo in condizioni abbastanza rare, quasi impossibili negli ambienti acquatici. Alcuni polimeri, infatti, richiedono l’esposizione a temperature prolungate oltre i 50° per potersi frantumare. In secondo luogo, i prodotti etichettati come “biodegradabili” facilitano una maggiore propensione a creare rifiuti, in quanto i cittadini sono portati a supporre che i danni all’ambiente saranno minori.
“Recenti stime di UNEP hanno mostrato che quasi 20 milioni di tonnellate di plastica finiscono ogni anno in acque oceaniche. Una volta nell’oceano, la plastica non si dissolve, ma viene frammentata in particelle microplastiche. Il report mostra chiaramente che non esistono rimedi nel breve periodo per questa problematica, per questo è essenziale iniziare ad avere un approccio più responsabile nel gestire il ciclo di vita della plastica, in modo da ridurne l'impatto su oceani ed ecosistemi” ha dichiarato Achim Steiner, direttore esecutivo di UNEP. Negli ultimi anni è stata più volte riscontrata la presenza di microplastiche negli ecosistemi marini, soprattutto negli organismi marini - tra cui gabbiani, pesci e zooplancton - che le ingeriscono.
Il report di UNEP ha inoltre preso in analisi altre tipologie di plastica, come il polietilene (PE), polipropilene (PP) e il polivinile coroide (PVC), utilizzate per oggetti di uso comune. Queste non sono per nulla degradabili negli ambienti marini, poiché i polimeri che le compongono sono decisamente più lenti a disgregarsi negli oceani. La diffusa adozione di queste plastiche ha contribuito a portare l’ecosistema marino ad una situazione critica.
Lo studio analizza anche l’impatto ambientale delle plastiche “oxo-degradabili”, arricchite di pro ossidanti come il manganese, che dovrebbe favorirne la disgregazione. Il report afferma che le oxo-degradabili potrebbero costituire una minaccia anche dopo la frammentazione, poiché le microplastiche create nel processo di scissione rimarrebbero presenti, diventando cibo per gli organismi marini e facilitando il trasporto di microbi, batteri patogeni e specie algali.
Il documento conclude le proprie analisi con un’affermazione provocatoria: etichettare prodotti come biodegradabili non è altro che uno “scaricabarile” delle responsabilità che ogni singolo individuo deve prendere ne confronti dell'ambiente.
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