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Collectively è una nuova piattaforma ambientale, nata con l'obiettivo ambizioso di cambiare approccio alla comunicazione per la sostenibilità. Alla base del progetto, un'alleanza di proporzioni mai viste fra i più grandi colossi dell'industria mondiale.
"Oggi lanciamo un nuovo tipo di piattaforma, e speriamo che, così facendo, si muova anche un primo passo per cambiare il corso del nostro futuro collettivo". Questo l'incipit del post di esordio e presentazione di Collectively, pubblicato il 7 ottobre scorso sul neonato portale. Un progetto editoriale ambizioso, che si propone di cambiare l'atteggiamento generale nei confronti dell'informazione ambientale: niente più frustrante catastrofismo, ma contenuti dal taglio positivo, che convincano i lettori ad agire.
Video e immagini di qualità gli strumenti prediletti, organizzati seguendo un design pulito e accattivante. In questo modo, Collectively diventa una vetrina capace di mettere letteralmente in mostra storie, esperienze e idee dal multi-sfaccettato mondo della sostenibilità ambientale: dalla moda al cibo, dall'arte alla tecnologia, dall'energia all'architettura.
Ma cosa distingue veramente Collectively dagli altri progetti di questo tipo? Molto. Alle sue spalle c'è infatti uno spiegamento di forze senza precedenti, dato che fra i partner sono presenti ben ventinove giganti dell'industria mondiale, tra cui Unilever, Facebook, Google, Twitter, McDonalds, Coca-Cola, PepsiCo, Nestlé e altri dello stesso calibro.
Nomi che fanno girare la testa e che hanno portato a immediate pubbliche "dichiarazioni di indipendenza editoriale" da parte della testata. "La gestione della piattaforma è stata infatti affidata a un team composto da giovani, giornalisti ed esperti di sostenibilità in grado di garantire il massimo livello di integrità e qualità dei contenuti" ha riferito Will Gardner di Unilever, nominato d'altra parte amministratore delegato di un CDA formato per il 50% proprio dai rappresentanti dei brand citati.
"Come individui siamo impotenti, ma collettivamente abbiamo il potere" ha dichiarato al Guardian Sustainable Business Keith Weed, altra carica di prestigio in Unilever. "Sono coinvolte molte aziende che normalmente sono in competizione, ma se non collaboriamo per costruire consapevolezza, impegno e azione, tutti i nostri sforzi [...] non avranno successo".
Queste le dichiarazioni di intenti, inattaccabili. Certo, la minaccia di risultare ambigui resta comunque dietro l'angolo: si sa, lo scarto tra un'iniziativa virtuosa e una campagna di green marketing ben condotta è spesso minimo. E come non pensare poi all'enorme peso che, proprio grazie alla comunicazione, i colossi coinvolti hanno quotidianamente sulle nostre abitudini e scelte?
Anche e soprattutto per queste ragioni, il progetto Collectively deve prepararsi a un esame attento e costante da parte di un'altra potentissima collettività dei nostri tempi: la rete, in agguato per confermarne o smentirne inesorabilmente la credibilità.
D'altra parte, se il proposito è davvero quello di cambiare il futuro, vale la pena correre qualche rischio, no?
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