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La comunicazione ambientale ha un senso solo quando diventata l'espressione di una filosofia green oriented che coinvolge tutta l'organizzazione e i suoi processi
“Produciamo utilizzando energie alternative”: così può essere riassunto un tipico claim utilizzato da chi fa (o meglio, pensa di fare) comunicazione ambientale. Ma siamo sicuri che questa sia vera comunicazione ambientale? L’approccio green può essere limitato all’utilizzo di pannelli fotovoltaici installati sui tetti degli stabilimenti, all’attenzione al consumo della carta magari riutilizzando quella del fax o alla ricerca di un’ottimizzazione dei costi energetici spegnendo la luce quando non siamo in ufficio?
Ovviamente no e questo introduce subito un aspetto centrale. La comunicazione ambientale deve essere considerata come in ottica “terminale”. Ovvero la comunicazione ambientale deve essere gestita come un’attività che giunge a valle di un processo molto più ampio e complesso che coinvolge l’azienda in modo profondo e a tutti i livelli.
Parlare solo di comunicazione ambientale assume quindi una rilevanza solo relativa se non inserita in una filosofia green più ampia. Se non c’è un progetto green di grande respiro la comunicazione diventa quasi un esercizio di stile. Non è quindi sufficiente veicolare un generico orientamento green. Tutto il ciclo produttivo (e più in generale tutta l’organizzazione) deve essere green oriented e quest’approccio deve essere testimoniato in modo fattivo da un’attività tecnica di ricerca e sviluppo, di innovazione, di ingegnerizzazione che porti effettivamente a migliorare le prestazioni e gli impatti ambientali dei prodotti e dei processi.
La comunicazione arriva, quindi, dopo uno step iniziale di presa di coscienza dell’importanza della sostenibilità ambientale; momento che diventa valore e filosofia aziendale e che si concretizza tramite un percorso strutturato di innovazione tecnologica, di processo e organizzativa. La sostenibilità ambientale, grazie anche alla sua valenza intangibile, diventa così elemento fondante del brand aziendale, valorizzandone e rafforzandone l'unicità.
Da questo percorso, che ovviamente ha già insito una forte connotazione di marketing, devono emergere gli elementi sui quali basare la comunicazione. Elementi che assumono estrema concretezza quando vengono misurati e validati tramite sistemi scientifici quali, ad esempio, l’analisi LCA (Life Cycle Assessment), la dichiarazione EPD (Environmental Product Declaration), i canoni di Eco-design. Con questi presupposti la comunicazione ambientale diventa un’attività imprescindibile e realmente in grado di evidenziare un vantaggio competitivo concreto.
L’ampiezza e la complessità della materia richiede però un approccio alla comunicazione molto strutturato che parta da una valutazione strategica approfondita, in grado di evidenziare che tipo di comunicazione veicolare, quali contenuti evidenziare e modulare, quali canali attivare in funzione dei diversi target. Il presupposto di partenza però deve essere chiaro: la comunicazione ambientale, per quanto leva competitiva, non deve essere pensata come con finalità commerciali dirette ovvero non avrà (quasi) mai natura persuasiva pur essendo assolutamente pervasiva.
In quest’ottica i target non saranno solo i clienti e i prospect ma tutto l’ambiente di riferimento (fornitori, pubblica amministrazione, shareholders, stakeholders, etc). Semplificando, la comunicazione ambientale può svilupparsi sostanzialmente su due piani integrati. Un livello istituzionale che, sfruttando anche stilemi emozionali, comunichi a tutti gli stakeholders, in modo generale ma circostanziato e puntuale, l’impegno ambientale dell’azienda. Un livello di prodotto che, in modo razionale, organizzato e funzionale comunichi, principalmente a clienti e influenzatori, il contributo green che il prodotto (e implicitamente i processi) può apportare anche all’interno di una catena del valore più ampia.
Non esiste un settore “elettivo” per attivare un virtuoso processo di sviluppo, validazione e comunicazione dell’impronta ecologica. Generalmente un’azienda chimica o siderurgica può nutrire una sensibilità più spinta verso questa tematica a fronte anche di un impatto ambientale tendenzialmente molto significativo.
Ma in realtà se analizziamo, ad esempio, le aziende che hanno conseguito negli ultimi anni la dichiarazione EPD troviamo imprese che offrono prodotti molto diversi spaziando dai prodotti alimentari ai sistemi impiantistici, dai prodotti per l’igiene personale ai prodotti meccanici. Se l’orientamento “green” è quindi reale tutte le aziende hanno argomenti per fare comunicazione ambientale.
Possiamo quindi rispondere a uno dei dubbi principali di chi si appresta a sviluppare un percorso green: l’attenzione alla sostenibilità ambientale non è più, e forse non lo è mai stata, un fenomeno di moda o di sensibilità soggettiva ma un elemento sul quale costruire non solo un’immagine di marca forte ma anche un vero e proprio vantaggio competitivo. Essere “green” quindi diventa un percorso che si sviluppa e si migliora nel medio lungo periodo. In alternativa il rischio green-washing è dietro l’angolo con tutte le ripercussioni negative che questo fenomeno può portare all’immagine di marca.
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