Superare la dicotomia tra conservazione e sviluppo: la partita australiana sul carbone
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Superare la dicotomia tra conservazione e sviluppo: la partita australiana sul carbone

L’utilizzo di carbone e petrolio, in Australia come in Italia, divide Governi e società civile. In ballo ci sono diverse idee di sviluppo e di futuro. Una grande miniera di carbone nei pressi della Grande Barriera Corallina può essere considerata sostenibile?

La recente notizia che il governo dello stato australiano del Queensland abbia approvato tre concessioni minerarie alla multinazionale indiana Adani per l'estrazione di 60 milioni di tonnellate l'anno di carbone termico, ha messo in allarme la comunità ambientalista, che supportata da recenti evidenze scientifiche, denuncia il rischio per la sopravvivenza di uno degli ecosistemi più preziosi al mondo.

 Il progetto, che, oltre alla miniera, comprende una linea ferroviaria di 189 km nonché la notevole espansione del porto di Abbot Point, non lontano dalla Grande Barriera Corallina, comporterà il dragaggio dei fondali, e secondo dati forniti dalla stessa Adani, nel corso delle sue operazioni,  emetterà più di 4,6 miliardi di tonnellate di CO2.  Dopo anni di valutazioni di impatto ambientale e cause legali intentate da associazioni ambientaliste e proprietari terrieri contrari alla miniera, la decisione del Governo arriva proprio in un momento in cui la comunità scientifica denuncia lo sbiancamento senza precedenti della Barriera Corallina, da attribuirsi all’innalzamento delle temperature dell’ oceano e più in generale ai cambiamenti climatici in atto.

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L’impallidimento dei coralli è un indicatore che precede alla morte degli stessi, cosa che causerebbe enormi squilibri a tutto l’ecosistema marino: dalle ultime e recenti osservazioni, il livello di pericolo 3, è il più alto mai  registrato fin ora. Il progetto della miniera, seppur condotto con tutte le precauzioni, difficilmente potrebbe essere funzionale a un’opera di contrasto a questo fenomeno.  Non solo, anche l’UNESCO ha richiesto una riduzione dell’inquinamento dell’area dell’80% entro il 2050, ed ha espresso preoccupazione per lo stato di pericolo attuale in cui versa la Barriera Corallina. 

“Lo stato di sofferenza della Barriera Corallina è indiscutibile – ha dichiarato Shani Tager, responsabile campagne di Greenpeace Australia – sia la Great Barrier Reef Marine Park Authority che lo stesso Governo del Queenslands sono concordi nel confermare la gravità del problema. Tuttavia, allo stesso tempo si autorizza questo progetto estrattivo, che non potrà far altro che peggiorare la situazione. Proteggere la Barriera Corallina e approvare la miniera sono due cose diametralmente opposte, una esclude l’altra. Non ha alcun senso parlare di lotta ai cambiamenti climatici se si autorizzano interventi come questo, che inevitabilmente porteranno ad ulteriori innalzamenti delle emissioni e delle temperature di acqua e aria e che condurranno alla morte definitiva dei coralli”.

Per quanto il Governo del Queensland evidenzi le opportunità economiche e occupazionali dell’accordo, (intorno ai 10.000 posti di lavoro nelle varie fasi operative della miniera e del suo indotto), e si impegni a rispettare 140 condizioni per preservare flora e fauna dei territori interessati, con particolare attenzione verso la Barriera Corallina, anche l’Australian Conservation Foundation ritiene che il progetto sia del tutto incoerente con il dovere dell’Australia di proteggere la Barriera Corallina quale patrimonio mondiale. Pertanto, la Fondazione sottoporrà a maggio la decisione del Governo all’attenzione della Corte Federale Australiana: inseguire uno sviluppo basato sulle fonti fossili sembra essere sempre più una chimera del passato,ed è tempo che tutti, decisori politici in primis, si assumano le responsabilità di scelte che potrebbero avere effetti irreversibili. 

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Immagine di copertina: Dominik Vanyi, Unsplash

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