Open Scope e i RAEE in Italia: opportunità o problema?
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Open Scope e i RAEE in Italia: opportunità o problema?

Nel 2018, con l’ingresso di Open Scope, crescerà il volume delle AEE, comportando un considerevole aumento dei rifiuti annessi. La scarsa chiarezza normativa potrebbe rallentare un’importante opportunità per l’economia circolare?

Da oltre 3 anni, il 15 agosto 2018 è una data cerchiata in rosso sul calendario di chi opera nel settore energetico e in quello dei rifiuti. Era il 14 marzo 2014 quando veniva emanato un decreto legislativo (49) che attuava la direttiva europea 19/2012, finalizzata a regolamentare i rifiuti delle apparecchiature elettriche ed elettroniche, i cosiddetti RAEE, con una novità: l’ampliamento del target.

Fusibili, spine, morsettiere, prolunghe, un po’ tutti quei piccoli dispositivi elettronici o elettrici per cui la legge non prevede un’esclusione scritta, si andranno ad affiancare ai grandi e piccoli elettrodomestici, ai computer, agli schermi di televisori o tablet e così via. In sostanza, le Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche considerate tali raddoppieranno. E di conseguenza raddoppieranno anche le scorie.

Tale ampliamento viene denominato Open Scope, sistema aperto. E con sé porterà nuovi obiettivi, che al momento, nonostante un trend di gestione dei RAEE in crescita, sembrano decisamente proibitivi per l’Italia.

Quelli elettronici sono una tipologia di rifiuti che di per sé, complice lo sviluppo tecnologico e la sempre più capillare diffusione di dispositivi e parti elettriche negli oggetti d’uso quotidiano pubblico e privato, crescono più velocemente rispetto ai tradizionali. Nel biennio immediatamente successivo al decreto 49/2014, l’Italia superava brillantemente il primo obiettivo posto dall’Europa: raccogliere almeno 4kg pro-capite entro il 31 dicembre 2015.

 

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Tuttavia, da gennaio 2016, si stimava che la raccolta dei RAEE raggiungesse a stretto giro il 45% dei prodotti introdotti sul mercato nei tre anni precedenti. L’Italia, a quasi due anni dalla stipulazione di tale obiettivo, è poco al di sopra del 40%. Non è tutto. Entro il 2019, il tasso minimo di raccolta stabilito dall’UE dev’essere pari al 65% del peso medio delle AEE messi in circolazione tra il 2016 e il 2018. Una sfida che ancora bisogna capire come vincere.

Eppure i RAEE sono fondamentali non soltanto per l’ambiente, ma anzitutto per l’economia nazionale. Nel 2015, il risparmio sull’acquisto di materie prime, evitato grazie al recupero dei materiali contenuti nei RAEE, seguendo un’ottica di economia circolare, è stato di circa 120 milioni di euro annui. Se si riuscisse a raggiungere il target dell’UE, si arriverebbe a un risparmio annuo di 390 milioni nel 2025. Nello stesso anno, secondo Remedia, le emissioni di gas serra, che grazie alla corretta gestione dei RAEE si riducevano di 1,1 milioni di tonnellate equivalenti nel 2015, calerebbero di 2,5 tonnellate.

Non bisogna inoltre tralasciare un dettaglio: l’industria dell’elettronica è in crescita. Seguendo i dati previsti dall’Ue per lo sviluppo di economia circolare nel nostro Paese, tra il 2025 e il 2030 i consumi del settore aumenteranno del 50%. Si prevedono circa quindicimila nuovi posti di lavoro. A patto che tutto funzioni correttamente, l’effetto incrociato dello sviluppo industriale e della direttiva europea rappresenta un’opportunità da sfruttare.

Tuttavia, come spesso accade, gli incentivi a lungo termine sembrano perdere di valore in una società che, a partire dalla sfera politica, dà un peso eccessivo al presente, che sia un mandato o un obiettivo economico da raggiungere nell’immediato. Tutto e subito. E il presente, in questo caso, si traduce in oneri superiori. Il cambio di normativa interesserà 7000 nuove aziende che si troveranno coinvolte. Produttori, importatori e distributori di RAEE sono chiamati, secondo la legge di recente aggiornamento, a organizzare, finanziare e recuperare i nuovi RAEE. In sostanza, a gestire il sistema. E le sue spese. 

Considerando le scadenze della direttiva, nonché la portata del cambiamento, anche in termini di processi industriali, e conseguente adeguamento, dell’intero settore, sarebbe stato opportuno auspicare una celere chiarezza riguardo alla stessa. Invece, a distanza di 3 anni e mezzo dal 49/2014, la situazione è ferma al dibattito. Siamo ancora al confronto, al capire chi e cosa sarà interessato dalla normativa, al definire i confini della sua applicazione. Per la quale, tra l’altro, l’Europa stessa non è ancora così chiara in termini di responsabilità delle aziende puramente operative in ambito e-commerce.

Poco tempo. Obiettivi lontani. La sensazione è che la direttiva europea venga percepita come un problema, quando potrebbe invece essere un’opportunità economica e occupazionale. Ma c’è ancora margine perché diventi una svolta positiva in grado di dare nuovo vigore all’economia circolare dei rifiuti.

 

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