Fendi e la Fontana di Trevi: tra filantropia e reputazione
Sostenibilità

Fendi e la Fontana di Trevi: tra filantropia e reputazione

Il restauro della Fontana di Trevi finanziato da Fendi riapre il dibattito sul ruolo delle aziende che contribuiscono al restauro di beni di pubblico interesse: deve essere solo un gesto filantropico o può diventare un'occasione di comunicazione? 

Understatement o visibilità: questo l'eterno bivio al quale si trovano le aziende che finanziano i grandi interventi di restauro dei monumenti. Un bivio che, come sempre, spacca l'opinione pubblica. Ultimo caso Fendi e la Fontana di Trevi. Un intervento costato 2 milioni e 180 mila euro, interamente finanziato dalla maison. Un intervento che ha regalato a Roma e al mondo un restauro realizzato in 17 mesi anziché nei 20 inizialmente previsti. Un intervento che ha garantito una visibilità globale a Fendi.

E proprio qui si divide spesso l'opinione pubblica, non solo nel caso di Fendi ma in tutte le situazioni in cui le aziende intervengono in questo campo: esempi di questo tipo possono essere il restauro del Ponte di Rialto a opera di Diesel o - restando a Venezia - il ripristino di Punta della Dogana a opera di Pinault. Da una parte c'è chi dice che le aziende debbano finanziare queste iniziative con puro spirito filantropico e quindi senza perseguire nessun obiettivo commerciale o di notorietà. Dall'altra chi dice che a fronte del livello di investimento sostenuto dell'azienda, l'aumento del capitale reputazionale derivato dalla giusta visibilità e comunicazione sia quantomeno un "atto dovuto".

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Personalmente mi schiero, senza se e senza ma, con i secondi. Se intendiamo per sostenibilità sociale quell'orientamento che integra nel più ampio agire aziendale anche i valori sociali, oltre che ambientali, l'impresa deve ovviamente continuare a produrre reddito per remunerare gli azionisti ma anche per garantire continuità a un'organizzazione che deve distribuire ricchezza e benessere anche ai suoi collaboratori, ai suoi fornitori e più in generale a tutta la collettività di riferimento.

Finanziare un importante restauro come quello della Fontana di Trevi permette di perseguire ambedue le direttrici: agire per il bene comune e allo stesso tempo migliorare le performance aziendali e quindi perseguire uno dei tre pilastri della sostenibilità, quella economica. La responsabilità sociale non deve essere confusa con la filantropia la quale, riprendendone il concetto etimologico, resta racchiusa nella sfera dei sentimenti e degli atteggiamenti dei singoli (imprenditori o manager) senza sfociare in un indirizzo reale dei valori aziendali prima e delle sue attività concrete poi.

I detrattori di questo approccio "allargato" alla socialità auspicherebbero un generale disinteressamento delle aziende che invece, a loro modo di vedere, agirebbero a fronte di valutazioni di puro arbitraggio economico ovvero a fronte della valutazione che per ottenere un ritorno di visibilità e di notorietà di pari portata con un'attività di comunicazione tradizionale gli investimenti dovrebbero essere ben superiori. Senza soffermarci su un'analisi dell'articolazione di un media planning ipoteticamente finanziabile con oltre 2 milioni di euro, la valutazione da fare è legata al fatto che il restauro dei simboli universalmente riconosciuti di alcune città dovrebbe rappresentare una priorità assoluta dell'amministrazione pubblica. Quando questa non è in grado, per vari motivi, di assicurare l'intervento ed è costretta a ricorrere (in molti casi sperare) all'aiuto privato per evitare il degrado dei monumenti non si può pretendere che quest'ultimo ragioni come il pubblico e non persegua anche l'interesse dell'azienda che rappresenta.

C'è da registrare poi come le dichiarazioni di questi imprenditori si concentrino spesso sull'amore disinteressato per la città: Renzo Rosso, che ha investito 5 milioni di euro per il Ponte di Rialto ha subito sottolineato come a lui non interessi l'immagine ma il dovere di fare qualcosa di utile per il proprio territorio.  Ma se si può abbinare al benessere della collettività anche un ritorno per la propria azienda (e quindi anche per le persone che in queste aziende lavorano e quindi, in un volano positivo, per tutta la collettività), le critiche che in alcuni casi vengono mosse si possono tranquillamente archiviare tra quelle strumentali.

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