Miele amaro
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Miele amaro

Le api sono sempre più a rischio e noi con loro. Qui una panoramica tra Stati Uniti e Italia.

Se le api scomparissero dal pianeta, al genere umano resterebbero solo 4 anni di vita. Quante volte abbiamo sentito questa frase di Albert Einstein? Comunque troppe, anche al netto del fatto che si tratta di una cosiddetta “fallacia ad auctoritatem”, poiché lo scienziato tedesco non l’avrebbe mai pronunciata.

In ogni caso, col passare degli anni, soprattutto a causa dei cambiamenti climatici e dell’uso indiscriminato di agenti chimici nelle coltivazioni, per questi organismi tanto utili quanto fragili, il futuro è diventato sempre meno roseo.
Quello che interessa però, neanche a dirlo, è che i piccoli insetti gialli e neri continuino a produrre miele; così ogni iniziativa per la loro tutela, anche se utile alla causa, è meno disinteressata di quanto sembri.

Negli Stati Uniti, multinazionali come Cheerios (i cui anellini al miele finiscono dentro qualcosa come 60 milioni di tazze), Häagen-Dazs e perfino alcuni marchi di cosmesi hanno affiancato Whole Foods (società alimentare statunitense che gestisce oltre 270 supermercati negli Stati Uniti, in Canada e nel Regno Unito) per rafforzare le politiche che l’amministrazione Obama inaugurò nel 2014 con un finanziamento di 15 milioni di dollari per la tutela della catena di impollinazione. I colossi USA hanno raccolto donazioni, avviato programmi di ricerca e promosso campagne di sensibilizzazione rivolte ai consumatori.

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Le api vanno aiutate a casa loro (che poi è pure la nostra) così diventa fondamentale la tutela delle specie mellifere direttamente negli alveari e nei campi. Così come basilare è diventato anche l’apporto degli agricoltori che sono stati invitati ad integrare le proprie coltivazioni inserendovi diverse varietà di fiori ed migliorando le pratiche di sostenibilità.

In Italia, anche se non sfioriamo le movimentazioni di capitali degli USA, La differenza sostanziale è che, nel nostro Paese, il miele è legato alla piccola produzione e non a colossi industriali. Non abbiamo Cheerios, che ha introiti più che sufficienti per autosostenersi nei momenti di crisi ma 45.000 apicoltori artigianali che, caratterizzati da piccoli capitali divisi tra autoconsumo e commercializzazione, necessitano di aiuti esterni.

Il modello americano, interessato ma comunque vincente, quindi, non può essere replicato (eccezion fatta per il comparto di sensibilizzazione-educazione, che comunque non guasta mai rafforzare) e se i cambiamenti climatici sono sicuramente un aspetto negativo che grava su entrambi i Paesi, la siccità di questa estate ha danneggiato maggiormente le colture e la produzione nostrane.

Le fioriture ed il loro nettare sono seccati quasi ovunque sul territorio nazionale e le api hanno finito col morire di sete o avvelenate, costrette a bere l’acqua clorata delle piscine. Il fuoco degli incendi, poi, ha fatto il resto.

Al momento possiamo solo fare la conta dei danni e constatare il diffondersi del miele straniero sulle nostre tavole mentre per il mercato mellifero italiano si profila uno dei risultati peggiori degli ultimi 35 anni.

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