Land grabbing: l’accaparramento delle terre altrui nell’epoca del colonialismo 2.0
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Land grabbing: l’accaparramento delle terre altrui nell’epoca del colonialismo 2.0

I predoni del nuovo millennio rubano la terra. A fronte della perdita, ogni anno, di dodici miliardi di ettari come diretta conseguenza del consumo di suolo e della crisi economica, i terreni agricoli stanno diventando via via più rari e preziosi, fino a trasformarsi in oggetto di rinnovato interesse da parte della finanza mondiale. E così, negli ultimi anni la domanda di terra fertile è salita alle stelle, alimentata dall'obiettivo di produrre a costi limitati cibo e biocarburante da esportare, o da un semplice quanto ghiotto intento speculativo.

Cosa si cela, dunque, dietro ai beni d'importazione che utilizziamo quotidianamente? Dall'ormai celebre olio di palma allo zucchero, dal biodiesel all'energia... Il rischio è che tutto questo si traduca in due sole parole: land grabbing. Volendo trasporre il termine in italiano, l'accaparramento della terra -probabilmente una delle maggiori falle etiche nel sistema agro-economico dei tempi attuali- è una pratica in costante diffusione che consiste nell'esproprio e nella vendita di vaste porzioni di suolo a terzi, aziende o governi di Paesi stranieri, senza il consenso delle comunità che lo abitano, lo coltivano e ne traggono sostentamento.

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Secondo i dati diffusi da Oxfam, dallo scoppio della crisi economica del 2008 il fenomeno è cresciuto del 1000%, traducendosi nella cessione per vendita o affitto a lungo termine di oltre 200 milioni di ettari di terreno negli ultimi anni nei Paesi in via di sviluppo, Africa in primis. Con risultati drammatici su persone, lese nei loro diritti umani di identità e sovranità alimentare, ed ecosistemi, non di rado distrutti o fortemente danneggiati da pratiche che, seppure falsamente sostenibili e profondamente irrispettose del territorio, sono avallate a livello internazionale.

Innanzitutto dall'Unione Europea, dai cui cittadini e istituzioni finanziarie (primi landgrabbers al mondo) proviene il 44% degli investimenti totali legati all'accaparramento della terra. Ultimo anello della filiera, anche i consumatori europei hanno le loro responsabilità: ben il 60% dei prodotti alimentari acquistati al supermercato è connesso al fenomeno e al conseguente sfruttamento delle popolazioni.

Ma c'è un ulteriore risvolto: contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il land grabbing non risparmia l'Europa (Italia compresa), dove si manifesta sotto le mentite e spesso sottovalutate spoglie della concentrazione del terreno e della progressiva, inesorabile sparizione delle piccole aziende agricole. L'area più colpita è quella dell'Est Europeo ma, secondo le stime dell'associazione Terra Nuova, entro i confini del Vecchio Continente ben un quinto delle terre disponibili si trova nelle mani dell'uno per cento delle aziende agricole, mentre l'80% delle aziende agricole comunitarie controlla appena il 14,5% del totale.

Non sono buone notizie: meccanismi di questo tipo, causa e conseguenza di un innalzamento dei prezzi che mette in gioco grandi potenze e in crisi le piccole agricolture tradizionali, non possono che trasformarsi nell'erosione di ettari ed ettari di terra, alla mercé di speculatori di ogni tipo. Conoscere o approfondire le dinamiche spesso oscure di questo novello colonialismo 2.0 è un primo passo per affrontare il problema, e uno dei doveri etici fondamentali di un consumatore consapevole e forte delle proprie scelte.

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